Dare forma ai pensieri.

Testo di Ermanno Tedeschi per la mostra Dare forma ai pensieri Museo Officina della Scrittura. Torino.

Qualche anno fa, visitando Arte Fiera a Bologna fui attratto da un’opera dell’artista Giovanni Fava, ospitato dalla galleria Ellebi di Cosenza.
Mi avevano incuriosito il titolo “Il pozzo dei pensieri” e le migliaia di striscioline in carta che affollavano la nera cornice ovale che le conteneva: in ognuno di essa vi era scritto un messaggio. Fui subito colpito dalla poeticità e delicatezza di questo lavoro, che esaltava il valore della carta e della scrittura. Ho subito collegato questi frammenti ai foglietti che porto sempre con me, dove annoto ogni giorno che cosa devo fare e che per me hanno un valore enorme. Subito mi è apparso chiaro quanto sia ancora importante la carta scritta per la memoria dell’uomo. Quel quadro, “Il pozzo dei pensieri”, mi ha fatto compagnia per molti anni nel mio studio, fino a quando un mio caro amico se ne è innamorato e lo ha
voluto per sé.
Fava utilizza la scrittura come elemento costitutivo e non solo decorativo, ponendosi così sulla linea, in certi casi inconsapevolmente, di quel misconosciuto Lettrismo nato negli
anni’40, che negli anni‘60 in Italia e in Francia sosteneva la necessità di un connubio strettissimo tra la poesia letteraria e la poesia delle arti visive. Molti artisti appartenenti al gruppo hanno creato opere in cui il segno grafico diventava poesia visiva, dove le lettere oltre ad avere un senso e un suono legato alle convenzioni linguistiche, sono anche segni tracciati su un foglio bianco.
Scrittura come pittura. Pittura come scrittura. Entrambi sono prodotti di gesti compiuti con le mani. Paradossalmente, questo concetto è condiviso sia dalla cultura ebraica sia da quella islamica, due antichi contesti nei quali l’immagine naturalistica, tipica del mondo greco-romano e cristiano, è meno importante di quella correlata alla parola. L’arte in tutte le sue espressioni rappresenta senza dubbio uno strumento efficace per comunicare la storia in una forma non usuale e più attuale e diretta.
“Dare forma ai pensieri” è il titolo della mostra, che non poteva trovare una migliore collocazione se non l’Officina della Scrittura, un contenitore unico nel suo genere per il sapore che si respira e dove la penna è la vera Regina della scrittura intesa come arte.
Più di una ventina di opere in bianco e nero e a colori, allestite in parte a parete e in parte sotto forma di installazioni, trovano una loro naturale collocazione in questo museo nato da una costola della Manifattura Aurora.
Spesso le parole ci distanziano, a volte si intersecano, ci confondono, ci danneggiano. Mutano al mutare degli eventi, assumono forme e colori differenti. Cambiano suono, diventano musica e frastuono, trasmettono pensieri. A volte vorresti distruggerle, io l’ho fatto” (Giovanni Fava).
Lo scrivere artistico di Fava è soprattutto una dimensione dell’essere, è espressione del sé: nel momento in cui inventa storie, personaggi e crea mondi, mette sempre una parte del proprio mondo interiore, è desiderio di registrazione e necessità di tramandare.
“Senza la scrittura le parole non hanno presenza visiva, possono solo essere recuperate, ricordate” (Walter J. Ong).
Le opere di Giovanni sono parole scritte per essere viste e sono un omaggio alla Memoria, senza la quale non potremmo vivere il presente e affrontare il futuro.

Estratto dal testo scritto da Andrea B. Del Guercio. Leggere. Ascoltare.

Five Gallery   Heillandi Gallery   Lugano  CH.

Un ampio ciclo di opere di Gianni Fava si fonda sull’incidenza visiva della scrittura, andando a rinnovare ed accrescere quel patrimonio che la Poesia Visiva sin dalla fine degli anni Sessanta ha predisposto. La scrittura, come i nostri pensieri, come le immagini che scorrono senza sosta nella mente, diventa un processo inarrestabile e Fava ne insegue lo sviluppo contorto, ne segue il tracciato, recuperando e attivando una nuova ‘Scrittura Automatica’. La scrittura come il pensiero, si sviluppa lungo il processo di accumulo, di interferenza della sua iniziale linearità, arrovellandosi su se stessa secondo quella traccia emozionale che Franz Kafka ha perfettamente posto in esame in “La  metamorfosi” nel 1915. Piccole e grandi dimensioni di questa collezione di opere va a affrontare esemplarmente i processi del pensiero a cui Fava non pone limiti, a cui non risparmia quelle contorsioni labirintiche presenti e corrispondenti alla vita nella corteccia cerebrale di ogni essere umano; una materia viva che poi raffredda, per annodamento, per stratificazione ora nella luce del giorno ora nei processi tormentati della notte.

Estratto dal testo scritto da Antonio d’Avossa. Declinazioni. 

Ellebi Galleria d’Arte. Cosenza.

Quella di Giovanni Fava è una esperienza singolare fatta soprattutto di frammenti e parole che appartengono al suo pensiero, al suo vissuto visivo. Anche Fava, ma con un materiale più fragile come la carta, riannoda i fili di una pratica del ritaglio e della scrittura manuale che sono appartenuti e appartengono a grandi campioni della storia dell’arte contemporanea: Jiri  Kolar e Ben Vautier. In particolare il ritagliare piccole strisce di carta e riannodarle in volumi  e intrecci ci dispone ad una visione e lettura del corpo stesso della pittura e della scultura. Ancora una volta la frammentazione ritorna, e ritorna come un ritornello intrecciato come un canestro o un cesto per contenere visioni e rinvii infiniti. Mediante una tecnica tipica del  cut up, praticata nei suoi romanzi dallo scrittore americano William Burroughs, Fava intende restituirci il senso vero della manualità di un pensiero scritto e visto allo stesso tempo.  Le parole diventano materia e atomi di un fare arte che non si arresta alla monocromia. La riscrive e la ritaglia in una zona visiva inesplorata e singolare.  La carta a supporto e la parola a materia ci riportano a quell’orizzonte del pensiero che pure ha a che fare con la visione.  Si tratta di un orizzonte curvo come quello della cosmicità del  colore.  Ancora una volta il ritorno alla monocromia: organizzata attraverso i rossi, i gialli e i bianchi, di una sostanza che inscrive al suo interno l’esigenza della manualità pensata. E’ la compressione di questi pensieri a intrecciare corpo e mente della pittura e della scultura al medesimo tempo.  Insomma il corpo frammentato, tagliato, reciso, dissezionato della visione si ricompatta, si unisce e riunisce in una nuova realtà, dove l’azione del volgere lo sguardo verso il basso, verso la sua profondità, diventa risalimento alle declinazioni di una scrittura e di una forma antica e contemporanea al medesimo tempo.   E’ declinando e coniugando al limite del possibile visivo che entrambi, Armando Marrocco e Giovanni Fava, riallacciano i frammenti di un insegnamento sconosciuto: quello dell’arte.

Arona

Antonio d’Avossa.